Siamo persuasi che non dobbiamo attendere risposte dalle amministrazioni pubbliche, siano esse destrorse o sinistrorse. Al contrario, dobbiamo essere propositivi ed evidenti; fondare la nostra ragion d'essere sulla inconfutabile utilità morale della Cultura.

mercoledì 23 luglio 2014

E' fatta. E' storia. E' Spiragli.

Quando ieri ho lasciato Oscar in aeroporto, prima di andarcene- lui verso un aggeggio che vola, io verso uno che non si schioda da terra- , ci siamo stretti in un intenso abbraccio, in uno di quelli che non devi per forza spiegare. Nessuno dei due sembrava intenzionato a staccarsi dall’altro, perché si sentiva il respiro, e il respiro sapeva esprimersi. E anche se ci passavano accanto persone che trascinavano trolley e borse e giornali; anche se qualcuno era giunto in ritardo al suo appuntamento con l’alta pressione e per questo imprecava, noi eravamo immobili nel nostro abbraccio, nei nostri respiri.
E non la smettevo di ripetergli che gli volevo bene; che quando domenica, dal palco, mi ha gridato <> ho sentito tutta la pelle formicolare, e nonostante il nodo alla gola ho trovato la forza di dirgli <>, così come si dovrebbe fare con tutte le persone che ci riservano un posto speciale nel loro cuore.
Ero commosso, e ho pianto, come quando Angela De Gaetano è salita sulla sedia, nell’ultimo atto del suo straordinario monologo, o come quando Max Manfredi ha cantato Retsina. Ho pianto, e ingenuamente mi sono schermato con i miei occhiali neri. È stato in quel momento che Oscar mi ha ricordato la “lezione del sorriso”, nel suo italiano ispanico, ineccepibile, con gli occhi che gli brillavano, un po’ per l’influenza e tanto per la gioia. << Ho un dono per te>>, mi ha detto; e ha tirato fuori dalla tasca una piccola pietra di colore rossiccio. Era un ciottolo di Cava Pontrelli.
Quel sasso era con me, ieri sera, nella sala consiliare, e continuavo a farmelo roteare nella palma della mano, stringendo a volte il pugno, come a voler dire “questo è il tempo; ora è la storia”.
Tenevo il ciottolo in mano e guardavo Francesco, rigido, austero, contratto in volto. Lo osservavo, nel suo fascio di nervi e di passioni; nella sua positura guerriera. Lo scrutavo e pensavo a tutti i nostri amici che erano stati con noi durante i giorni di Al3Mura, all’abbraccio che avevano saputo donarci, raggiungendoci da lontano, da vicino, in macchina, in treno, in aereo, come una famiglia che si ritrova dopo essere stata disgregata per lungo tempo. Pensavo a Chiara a Rosa a Nicola a Oscar a Simone ad Alessandra ad Angelo a Barbara a Cristina a Giovanni a Pasqua a Claudia ad Angela a Paolo a Tommaso a Tiziana ad Annalisa a Gabriella al Puro. Pensavo a loro e mi dicevo che io e Francesco eravamo lì, in quel posto pieno di politici, in rappresentanza di quella “civiltà delle anime” così magistralmente descritta dal mio amato Nicola.
Oggi in tanti mi hanno scritto e mi hanno chiamato per manifestarmi stima, affetto, gratitudine. In tanti hanno speso per me e per Francesco parole di stima, di encomio, e io ho provato una strana sensazione: di felicità mista a imbarazzo. Perché il successo di Al3Mura, così come quello di Cava Pontrelli, non è addebitabile soltanto a noi due.
Senza il sostegno e il conforto delle nostre anime affini; senza la loro comprensione e la loro pazienza, nulla avremmo potuto.
Dal 23 di luglio di questo tempo di piena magnificenza, vi giunga il mio grazie, con un sorriso e con una lacrima, schermata dietro occhiali di colore nero.

Bartolomeo Smaldone, 23 luglio 2014

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